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“I fantasmi della mente si possono scacciare…”

Diversi studi indicano nel 25-30% la percentuale di migranti che subisce violenze, torture, stupri, abusi di ogni tipo durante il viaggio alla ricerca di migliori condizioni di vita. Tecnicamente si definiscono “traumi estremi”, ovvero traumi di natura interpersonale, ripetuti o prolungati nel tempo, sofferti in situazione di coercizione o di impossibilità alla fuga.

Si ritiene che il 33-75% dei sopravvissuti a queste violenze sviluppino, nel periodo successivo all’esperienza traumatica, un disturbo psico-patologico.

Viaggi della speranza, troppo spesso di violenza

Come testimoniano gli operatori che da più tempo seguono i migranti, con gli arrivi più recenti risulta chiaro come le condizioni di molti viaggi e le esperienze di detenzione per chi, in particolare, proviene o sia passato dalla Libia, stiano producendo effetti traumatici importanti e gravi, sia sotto il profilo psicologico che fisico. Numerosi tra i richiedenti asilo e i rifugiati presentano infatti evidenti forme di esito post traumatico che in alcuni casi vanno ad aggravare situazioni che magari erano già vulnerabili prima della partenza. Buona parte di chi soffre di un disturbo post traumatico manifesta anche importanti componenti dissociative che aggravano il quadro clinico. Tanti hanno poi sul corpo cicatrici, segni di percosse, alcuni hanno problemi di vista, altri dita amputate, problemi nella deambulazione che derivano tutti, con evidenza, da quel tipo di esperienza.

Orrori, vissuti sulla propria pelle o a cui sono stati costretti ad assistere, che si vanno ad aggiungere a quelli patiti a causa di guerre e persecuzioni e al disagio causato dallo sradicamento e dalle difficoltà di inserimento in culture molto diverse da quelle di origine.

Per la prima volta a Bologna un progetto dedicato al disagio mentale

Il disagio mentale e le disabilità fisiche sono un aspetto problematico delle nuove migrazioni di cui si è imparato a prendere coscienza e che non è ignorato, ma viene anzi affrontato ora con determinazione.

A inizio 2018 è stato avviato a Bologna il Progetto SPRAR Vulnerabili DM, in cui l’acronimo DM sta per disagio mentale. È coordinato da ASP per conto del Comune e vede come enti attuatori la Cooperativa Camelot e il Consorzio Indaco (con Open Group e Società Dolce). Altri soggetti che prendono parte al progetto sono Cadiai, MondoDonna Onlus,  L’Arcolaio e Lai-momo. Il progetto, che avrà una durata di tre anni, riceve un finanziamento del Ministero dell’Interno per 60 posti complessivi riservati esclusivamente ai beneficiari SPRAR portatori di disabilità fisiche o disagio mentale.

Per il capoluogo emiliano un progetto di questo genere è una novità ed è un capitolo ulteriore nei percorsi di tutela e presa in carico delle vulnerabilità psico-sanitarie dopo “Start-ER” (qui il video che ne racconta la storia https://www.youtube.com/watch?v=Wu9HsdNHvIA), progetto concluso di recente in Emilia-Romagna che si è rivelato esempio di eccellenza e caso di studio a livello nazionale.

I team al lavoro nei gruppi-appartamento

Le 60 persone coinvolte dal progetto “Vulnerabili DM” – su segnalazioni che possono venire dai CAS, dalla rete SPRAR o da tutti i servizi del territorio che sono a contatto con i migranti –  vengono accolte in una dozzina di appartamenti messi a disposizione dagli enti partecipanti.

Lì trovano l’aiuto di personale qualificato e specializzato, sia sotto il profilo psicologico-psichiatrico che sanitario. Nei gruppi-appartamento ad alta intensità educativa sono a disposizione diverse figure professionali, in particolare psicologi e antropologi clinici. Lavorano sul consolidamento del gruppo e sulla dimensione della casa, cercando di ricreare una comunità che si è persa con lo sfilacciamento delle relazioni o a causa delle esperienze traumatiche vissute, e accompagnano i singoli casi prendendosene cura. Il team comprende anche un tecnico di riabilitazione psichiatrica. C’è poi sempre un operatore che garantisce l’assistenza notturna e che aiuta sul controllo e il monitoraggio delle terapie. È quindi presente, trasversalmente su tutti gli  appartamenti, un infermiere che monitora la situazione clinica generale e prepara le terapie somministrando gli psicofarmaci necessari.

Giovani in sofferenza psicologica

“Nei nostri gruppi-appartamento abbiamo in accoglienza ragazzi africani molto giovani, tutti maschi neomaggiorenni o poco più che ventenni – racconta Letizia Zanini, tecnico di riabilitazione psichiatrica che coordina il progetto per la parte di competenza di Coop Camelot –. Un ospite singolo si trova nella Residenza Parco del Navile, in riabilitazione dopo un’operazione ortopedica all’Istituto Rizzoli, ed è affiancato anche da un supporto educativo per il contenimento di ansia e angoscia. Ma, in generale, negli appartamenti prevediamo dai 2 ai 6 ospiti, al fine di garantire la modularità dell’intervento assistenziale ed educativo”.

Donne vittime della tratta e tossicodipendenti

Le strutture di cui è coordinatrice Mariarosa Amato, coordinatrice di Società Dolce, allargano il ventaglio dell’accoglienza anche a donne e tossicodipendenti. “Siamo pionieri nell’occuparci di disagio mentale in presenza di patologie legate alle tossico-alcol dipendenze – dice Mariarosa –, grazie all’esperienza nel settore degli operatori di Open Group. Le donne ospiti sono invece quasi tutte vittime della tratta e di stupri, tema su cui si concentra in particolare l’azione di MondoDonna. Abbiamo anche persone disabili in una struttura residenziale, Villa Donini a Budrio, che mette a disposizione due posti, e un nucleo in accoglienza di disabilità nel complesso VIS del Pilastro a Bologna. Per tutte queste tipologie di disagio è fondamentale creare un raccordo con i servizi sociali del territorio: il nostro è un work in progress tra parti dello stesso sistema che stanno imparando a dialogare insieme”.

Un lungo percorso che ha come obiettivo l’autonomia

Oltre a dare conforto alle persone con disagio, l’obiettivo del progetto è far loro conquistare gradualmente l’autonomia, ove questo sia possibile. “Alla base c’è il pensiero  che la persona deve essere sempre più accompagnata verso un percorso di autonomia – prosegue Letizia Zanini –, quindi prima di farla uscire dal progetto è importante garantirle una fase di sperimentazione in una situazione protetta che assomigli il più possibile a come sarà la vita fuori dalla struttura del progetto”.

L’importanza della sinergia con i servizi

Il progetto DM intende proseguire nel lavoro tracciato dal modello del progetto “Start-ER”, che con il suo approccio multidisciplinare integrato alla presa in carico di tipo psichico ha iniziato a far prendere consapevolezza su questo tema alle varie componenti dei servizi socio-sanitari e a creare le prime reti per far fronte in tempi più rapidi alle esigenze di questa tipologia di persone.

“Più la presa in carico si sposta in avanti nel tempo più il rischio di prognosi negative aumenta – concordano Letizia e Mariarosa –. Per questo il lavoro del progetto non può essere svolto solo con l’accoglienza SPRAR ma va fatto in sinergia con i servizi sanitari e territoriali, in un intervento di rete che permetta una presa in carico precoce della vulnerabilità e ridia almeno un po’ di pace e benessere a chi ha sofferto così tanto”.

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