“Quando entri in un edificio all’inizio sei al piano terra, poi sali le scale e arrivi al primo piano, e poi al secondo e al terzo. Fai fatica, però man mano fai tutte le tappe. Noi avevamo fatto un lungo percorso, avevamo una casa, il lavoro, i figli, e da un giorno all’altro ci siamo trovati di nuovo al piano terra. Ora dobbiamo ricominciare da capo”. Jalal ha 36 anni e viene dall’Afghanistan. Viveva lì con la moglie e i tre figli, faceva il militare: la famiglia abitava a Kabul, lui stava a Herat. “La routine è andata avanti così per anni quando, ad agosto 2021, i talebani hanno ripreso il potere nel paese”.
Quel giorno la moglie, che era incinta del quartogenito, si trovava con i bambini a Jalalabad, quando ha visto arrivare i talebani. Subito sono scappati a Kabul, ma per la strada ci sono stati degli scontri. “Ancora oggi mi racconta di quanto sia stata dura assistere a quelle violenze”, dice Jalal, coprendosi gli occhi con le mani. “Io ero bloccato a Herat, ho preso un autobus perché gli aerei erano sospesi. Ci ho messo 23 ore. Quando finalmente sono arrivato a Kabul, contemporaneamente sono entrati anche i talebani”.
Jalal fa il militare, ha contatti internazionali e subito si mette in lista d’attesa per prendere un volo per l’Italia. “Ci ero già stato diversi anni prima, per un corso per paracadutisti a Pisa”, racconta. “Mi hanno detto che mi avrebbero telefonato appena si fosse liberato un posto su un aereo: io pensavo che ci avrebbero dato un po’ di preavviso, invece il giorno dopo ci hanno chiamato dicendoci di arrivare in aeroporto dopo 30 minuti”. Jalal e sua moglie fanno una corsa contro il tempo, e alla fine riescono a prendere quell’aereo. “Ci hanno fatto lasciare le valigie all’aeroporto: ci hanno detto che le avrebbero fatte arrivare con un altro volo, ma alla fine, per salvare più persone, non ce le hanno mai mandate. Chissà che fine hanno fatto le nostre cose”. Era il 17 agosto 2021, il giorno che ha segnato la fine della prima vita di Jalal, e l’inizio della seconda.
Nel frattempo, dall’altra parte del mare, la città di Bologna si sta preparando per l’accoglienza delle persone afghane in fuga da Kabul. “Era una sera di metà agosto, verso le 22.30 riceviamo una chiamata del cardinale Matteo Zuppi che ci chiede aiuto per accogliere alcune famiglie afghane”, racconta Claudia D’Eramo, che si occupa delle attività di integrazione sociale dell’Opera Padre Marella. “Subito abbiamo messo a disposizione due villette per quattro famiglie, abbiamo passato la notte a risistemare le stanze”.
Il 28 agosto, finalmente, Jalal arriva a Bologna con sua moglie e i suoi tre figli. È lì che entrano per la prima volta in quella che, per un po’, sarà la loro nuova casa. “Siamo arrivati solo con i vestiti che avevamo addosso”, spiega Jalal. “Non parlavamo una parola di italiano, non sapevamo dire neanche ‘ciao’”. Il tempo di ambientarsi, e subito Jalal inizia il corso di italiano, prima con Padre Marella e poi con il CPA. Nel frattempo, i tre figli iniziano la scuola. “Il sistema scolastico italiano è molto diverso da quello afghano”, spiega Claudia. “Qui siamo abituati a stare molte più ore in classe, seduti: i figli di Jalal erano molto affaticati all’inizio”. Con il tempo, però, le cose migliorano, e dopo Natale la scuola sembra meno in salita. “Nel giro di pochi mesi capivano tutto”, dice Jalal. “Oggi parlano italiano benissimo, sembra che siano arrivati dieci anni fa, mentre io sembro arrivato l’anno scorso”, ride.
Nel frattempo, Jalal comincia a inserirsi nel mondo del lavoro. Dopo aver partecipato a diverse formazioni, fa un tirocinio di inclusione sociale con Opera Padre Marella, e successivamente viene assunto come custode del PalaSavena, il palazzetto dello sport di San Lazzaro di Savena. “Controllo la struttura, preparo il campo per le squadre che arrivano, faccio le pulizie”, spiega. “C’è il basket, il calcio, la pallavolo, il jiu jitsu, il karate, il ballo. Il weekend ci sono le partite. Lo sport che mi piace di più è calcio, ma guardo tutte le competizioni. Alcune sono a livello locale, altre sono nazionali o internazionali”.
A marzo 2022 nasce la quarta figlia di Jalal, Valiqa. La piccola si ammala spesso, la famiglia fa degli accertamenti e ben presto scopre che ha un problema congenito al cuore, che avrebbe necessitato un’operazione. “Purtroppo era ancora troppo piccola per operarsi”, spiega Claudia. “Dovevamo aspettare che si irrobustisse, ma allo stesso tempo speravamo che il cuore reggesse”. Nello stesso momento arriva un’altra notizia che scombussola la vita della famiglia: il nucleo deve uscire dal CAS per transitare in una struttura del Progetto SAI del Comune di Bologna, coordinato da ASP Città di Bologna.
“Non c’erano posti sul nostro territorio, le uniche disponibilità erano in Calabria”, spiega Claudia. “Eravamo disperati: i bimbi frequentavano le scuole a San Lazzaro, andavano a teatro qui, erano iscritti a calcio. Jalal lavorava e stava per firmare un contratto a tempo indeterminato. Non volevamo disperdere le fatiche fatte per costruire un percorso di integrazione che stava funzionando”. Non solo: mentre la piccola Valiqa era in attesa dell’operazione, la famiglia scopre che anche la terzogenita, Abiha, ha la stessa malformazione al cuore. “È stata una notizia molto dura, i problemi sono arrivati tutti insieme”, dice Jalal.
A quel punto, gli operatori e le operatrici attivano tutte le loro risorse: “Abbiamo fatto di tutto per tenere la famiglia a Bologna: abbiamo chiamato moltissime persone e mandato centinaia di messaggi”, racconta Claudia. “Una giornalista si è interessata a questa storia e ha pubblicato un articolo. Anche ASP Città di Bologna ha fatto un grande sforzo per tenere questo nucleo sul territorio. Alla fine ci ha contattato la signora Lidia, che aveva una casa in affitto che si stava liberando: si è innamorata di questa famiglia e ha vincolato il suo appartamento”.
Finalmente, nel 2023 si è liberato un posto per l’operazione di Valiqa e poi di Abiha. Entrambe le volte, Jalal si è fatto ricoverare insieme a loro all’ospedale di Modena: “L’operazione è andata bene, il dottore era dolce. Dopo dieci giorni siamo tornati a casa”, racconta Jalal. “Le bimbe sono rimaste un mese a casa dopo ogni operazione, per non entrare in contatto con germi e batteri e non rischiare di ammalarsi”.
Oggi la vita di questa famiglia ha finalmente trovato un po’ di stabilità. Tutti e sei vivono in una casa proprio di fronte alla signora Lidia, che è molto affezionata ai bambini. Valiqa ha iniziato il nido, e Abiha ha cominciato il corso di ginnastica artistica. Jalal continua a lavorare al PalaSavena, e nel 2024 ha vinto il Premio custode dell’anno “Amato Andalò”, intitolato allo storico custode del Palazzo dello Sport in Piazza Azzarita a Bologna. Sulla targa, la motivazione del premio recita: “Con rispetto, amore, generosità e passione si è preso cura del suo-nostro impianto”. “È un bel riconoscimento, che simboleggia la nuova vita che ci stiamo costruendo qui”, conclude.