Cercare di costruire un ponte tra il contesto culturale e sociale di origine e quello del Paese ospitante, permettendo la comprensione e la comunicazione reciproca tra chi non ha ancora gli strumenti per comprendere e farsi comprendere e gli operatori del sistema dei servizi territoriali. Questa è una delle attività che svolge un mediatore linguistico-culturale, un compito non da tutti, che richiede competenze e attenzioni che vanno al di là della sola traduzione linguistica. In questo lavoro è infatti centrale la componente culturale, che si concretizza nel facilitare la comprensione da parte di un operatore od operatrice “italiano/occidentale” – sia esso un avvocato, un assistente sociale, un medico, un insegnante, un addetto all’accoglienza – della complessità dei contesti da cui provengono i richiedenti asilo beneficiari.
Accompagnare la complessità dell’incontro
Oltre alle lingue, il mediatore deve conoscere bene i diversi contesti socio-culturali, e fare sì che possano avvicinarsi il più possibile, smussando gli angoli quando necessario. È facile perciò capire come svolgere al meglio questo ruolo sia fondamentale per accompagnare i richiedenti asilo che non parlano l’italiano o una delle altre lingue veicolari come inglese e francese, o che hanno esperienze di vita molto lontane dalle nostre, e gli operatori dei servizi che interagiscono con questo tipo di beneficiari.
Marina Frabboni della cooperativa sociale Abantu – che con il coordinamento di ASP Città di Bologna gestisce insieme a coop. Lai-momo la maggior parte delle mediazioni che vengono svolte dal servizio specialistico dello SPRAR metropolitano per adulti, vulnerabili e minori stranieri non accompagnati –, ci avvicina a questo complesso ambito dell’accoglienza.
I requisiti per essere un buon mediatore
“Uno dei compiti principali di chi organizza il servizio di mediazione linguistico-culturale è assicurarsi che il mediatore sia adeguatamente formato per il suo compito – spiega Frabboni –. Noi cerchiamo persone che abbiano fatto percorsi di formazione, se non di qualifica, sulla mediazione. Noi stessi, qualora sia necessario, prevediamo momenti formativi per i nostri mediatori, monitorandone costantemente l’attività. Devono poi essere persone positivamente inserite nel contesto locale, che siano in Italia da un numero adeguato di anni e abbiano, quando possibile, un titolo di studio superiore nel Paese di origine. Molteplici sono gli elementi che vengono presi in considerazione nei colloqui di selezione, tra cui la conoscenza del contesto normativo, l’approccio al ruolo e la motivazione”.
Operatore e mediatore
Non basta però limitarsi a selezionare e preparare il mediatore e coordinarne l’impiego ogni volta che ce ne sia la necessità. Occorre anche dotare degli strumenti di conoscenza giusti gli operatori dell’accoglienza e le altre figure che devono impegnarsi in una mediazione. “Dobbiamo aiutare l’operatore a interloquire in maniera corretta all’interno di un colloquio che prevede una mediazione – prosegue la coordinatrice di Abantu –. Infatti, il colloquio avviene a tre, cioè con modalità completamene diverse da quelle di un dialogo tra due persone. Questo significa che anche l’operatore deve possedere gli strumenti necessari per poter svolgere al meglio una interazione a tre, in cui appunto deve intervenire anche il mediatore oltre al beneficiario”.
Settanta lingue e dialetti, ognuna con il suo interprete
“Sono una settantina le lingue e i dialetti che riusciamo a coprire con il nostro servizio (ad esempio l’arabo, l’urdu, il punjabi, il bangla, il russo, il kazako, il farsi e le lingue africane più parlate), molte delle quali solo orali, con conseguenti difficoltà anche nella fase di scrittura. L’Italia si contraddistingue per la parcellizzazione delle provenienze, e quindi delle lingue parlate dagli stranieri, a differenza di altri Paesi, come ad esempio la Francia, in cui è preponderante la provenienza da ex colonie, quindi francofone. È evidente quindi che una parte complessa del nostro lavoro è anche trovare persone che parlino le lingue più rare e che allo stesso tempo rispondano ai requisiti professionali richiesti e abbiano la sufficiente disponibilità. Un altro tema da tenere in considerazione è anche l’attenzione alle questioni di genere e alla fascia d’età del mediatore/mediatrice rispetto alla situazione in cui deve intervenire.
Per vulnerabili e minori una particolare sensibilità
Ulteriore attenzione e capacità di comprendere il contesto e gli elementi di fragilità dei beneficiari devono averle i mediatori che si rapportano con soggetti cosiddetti “vulnerabili” – cioè coloro che per la loro storia migratoria o il loro vissuto personale o per patologie pregresse abbiano esigenze diverse rispetto agli altri e debbano essere accompagnati verso l’autonomia con maggiore cura – o con minori stranieri non accompagnati. “Per queste persone le figure di operatori con cui confrontarsi nella mediazione sono più numerose e i mediatori devono essere pronti per questo compito non semplice”, spiega Frabboni.