Occhi profondi contornati dal nero del mascara, pelle chiara, chioma scurissima che si apre ordinata intorno alla riga in mezzo. Amina (nome di fantasia) muove velocemente le mani con le unghie laccate di nero, mentre con una voce soave racconta: “Le donne in Afghanistan parlano con le braccia conserte e lo sguardo basso. Da quando sono arrivata in Italia sono cambiate tante cose in me, adesso mi piace gesticolare e guardare le persone negli occhi”. Può sembrare un dettaglio insignificante, ma il modo di mostrare il nostro corpo nello spazio pubblico è fondamentale per mandare messaggi. E il messaggio di Amina arriva forte e chiaro: è una donna in rinascita, e non ha intenzione di fermarsi. La sua emancipazione è arrivata in particolare dal lavoro: per la prima volta nella sua vita, Amina ha un impiego come cuoca, e questo le dà un’autonomia mai sperimentata prima.
Afghana, quarantuno anni, è arrivata in Italia con il marito e i figli nel 2022 dopo lo scoppio della guerra nel suo paese in seguito al ritorno dei talebani. Subito è stata accolta a Bologna, prima in un Centro di accoglienza straordinaria, poi all’interno di una struttura del Progetto SAI del Comune di Bologna, gestito da ASP Città di Bologna. Non conosceva la lingua e non riusciva a orientarsi in città, ma piano piano si è messa in gioco: ha fatto un corso professionalizzante di ristorazione, poi ha seguito un corso di italiano per il lavoro. “All’inizio non pensavo di lavorare con la cucina, non credevo di riuscire a trovare un lavoro di quel tipo così presto. Arrivavo senza conoscere la lingua, la cultura, i piatti… Quando l’operatrice mi ha chiesto cosa facevo in Afghanistan, ho risposto che non lavoravo, ma passavo molto tempo a cucinare. Così abbiamo puntato su quello”.
Amina aveva una famiglia molto numerosa, ed era abituata a cucinare per moltissime persone. “Da quando mi ricordo, mi è sempre piaciuto cucinare”, racconta. “E poi, a chi piace mangiare, piace anche cucinare!”, ride. “Mia madre era bravissima, volevo raggiungere il suo livello”. Quando Amina si è sposata, è entrata a far parte di una grande famiglia, quella di suo marito. “Alcuni giorni dovevamo cucinare anche per sessanta persone, ma non mi pesava, lo facevo volentieri. Solo in casa nostra eravamo in 27, vivevamo anche con la famiglia del fratello maggiore di mio marito”.
Così Amina ha affinato le sue doti da cuoca. Il suo piatto forte era il mantù, i tipici ravioli freschi afghani fatti a mano con carne, verdure e spezie, ricoperti con una salsa a base di yogurt e menta secca. “Noi afghani diciamo sempre che, per mangiare un buon piatto, devi andare a Kabul e mangiare il mantù”, sorride. “Ci sono tanti modi per prepararlo, dipende da come ti piace: il mio preferito è ripieno di carne e condito con un sugo rosso di fagioli o lenticchie”.
Amina non conosce la cucina italiana, ma ha voglia di sperimentare. Fa i primi colloqui, poi si candida per una posizione da cuoca al Fuori Orsa, l’attività di ristorazione sociale di Arca di Noè cooperativa sociale al dopolavoro ferroviario (DLF). La sua operatrice dell’area lavoro, Greta Maniero, della cooperativa sociale Lai-momo, la accompagna al colloquio. “È piaciuta subito, anche se è stata timidissima”, racconta Greta. “Non ha detto neanche una parola, ma ha fatto capire che aveva voglia di fare una prova”. Amina ricorda quel colloquio come uno dei momenti più complessi del suo percorso. “Era molto complicato per me perché non riuscivo a capire che cosa stessero dicendo: non era paura di parlare, era difficoltà di comprensione”, ride. “Mi avevano dato una lista di domande già preparate, ma se cambiavano leggermente le parole mi perdevo subito”.
Il locale Fuori Orsa DLF è costantemente impegnato in percorsi di inclusione lavorativa, e così anche Amina ha avuto la sua possibilità. All’inizio le hanno fatto con un contratto di tre mesi. “Il primo giorno di lavoro non conoscevo nessuno, mi sono messa da una parte a osservare, non capivo niente”, ricorda Amina. “I miei colleghi mi hanno aiutato tantissimo, all’inizio mi facevano lavorare sugli ordini che erano vicini all’inglese, perché più o meno riuscivo a intuire cosa dovevo cucinare. Ma era complicato. Mi chiedevano di passare l’olio e io davo l’aglio, mi chiedevano una forchetta e io davo il cucchiaio. A volte andavo fuori a piangere e pensavo: ‘Non ce la farò mai’. Poi arrivava la mia coordinatrice e mi incoraggiava”.
Nella prima settimana Amina riesce a dimostrare che, nonostante tutto, sa lavorare bene e ad essere molto veloce. Il suo contratto viene prorogato per tre volte, e a maggio 2024 arriva il contratto a tempo indeterminato. Oggi Amina lavora sia al Fuori Orsa al dopolavoro ferroviario, che apre solo in estate, sia al Fuori Orsa Moline, il locale nel centro storico di Bologna. “Per i miei datori di lavoro è molto importante la relazione, non tanto la tecnica: adesso siamo un gruppo molto unito, se vediamo che qualcuno è sovraccarico subito andiamo ad aiutarlo”, dice Amina. “A un certo punto, per facilitarmi con l’italiano, i miei colleghi hanno attaccato sul frigo un foglio con la traduzione dei principali ingredienti nella mia lingua”.
Oggi Amina ha un ruolo di responsabilità: ci sono giorni in cui gestisce la cucina interamente da sola, e non capita mai che un piatto esca senza il suo benestare. “La mia specialità è il ragù”, racconta. “Lo faccio a modo mio, anche se non posso neanche assaggiarlo perché c’è il maiale e io sono musulmana. Faccio soffriggere la cipolla e la carne insieme, poi aggiungo il pepe nero e l’aglio in polvere, e alla fine metto un mio tocco: un po’ di curcuma. Mi dicono che è buonissimo, in tanti vengono all’osteria per assaggiare il mio ragù, e tutti fanno la scarpetta”.
Agnese Bassi, operatrice dell’accoglienza dell’associazione Antoniano, racconta che il lavoro è l’oasi felice di Amina. “È sul lavoro che riesce a tirar fuori il meglio di sé”, spiega. “È orgogliosa, perché riesce a essere l’Amina che vuole essere, a tirar fuori tante energie, tante capacità, tante abilità. Questo l’ha aiutata ad affrontare le difficoltà del suo percorso. Le dà stabilità, e le dà la forza per fare tutto il resto”. E anche Greta Maniero aggiunge: “In questi tre anni ho visto una grande evoluzione. È diventata una donna forte, sicura delle sue capacità”.
Amina parla dei suoi traguardi con lo sguardo fiero di chi aveva davanti una montagna altissima, e passo dopo passo è riuscito a scalarla. “Lasciare il proprio paese e arrivare in un posto nuovo non è una cosa facile”, conclude. “In Afghanistan non potevo uscire da sola neanche per andare dal medico, adesso sono molto attiva, posso lavorare, e sono molto soddisfatta. La mia vita è cambiata totalmente”.