Notizie ed eventi di Bologna cares!

Un pubblico speciale: le impressioni dei beneficiari che hanno assistito allo spettacolo teatrale A place of safety

“Il titolo dello spettacolo mi ha colpito moltissimo: A place of safety. Quando me l’hanno detto, ho deciso di andare. Sapevo che parlava del viaggio per attraversare il Mediterraneo, ma non ero preparato emotivamente: hanno raccontato una storia uguale alla mia, dall’inizio alla fine”. Alpha, 19 anni, è nato e cresciuto in un piccolo villaggio di meno di cento case in Gambia. Per arrivare in Italia ha dovuto percorrere circa 5mila chilometri, alla fine dei quali è salito su una barca che avrebbe tentato di portarlo fino a Lampedusa. “Quando ero dentro il mare, il motore si è fermato. È stata la nave Ocean Viking di SOS Mediterranee che ci è venuta a salvare: se non ci fossero stati loro, non sarebbe andata così la mia storia”.

Alpha si trovava seduto in quella platea grazie al progetto “One for You” di Emilia-Romagna Teatro, che agevola il coinvolgimento delle fasce più fragili della popolazione e dei nuovi cittadini erogando – in collaborazione con l’Area Welfare e Promozione del benessere della comunità del Comune di Bologna, con le strutture di accoglienza della città e con la Cineteca di Bologna – tessere nominative che consentono l’ingresso all’Arena del Sole e al Cinema Lumière ad un prezzo simbolico. A usufruirne sono stati anche alcuni beneficiari e beneficiarie accolti nel progetto SAI del Comune di Bologna, coordinato da ASP Città di Bologna, che hanno assistito ad alcuni spettacoli e proiezioni.

Tra questi c’era anche A place of safety, il nuovo spettacolo della compagnia Kepler-452 in scena all’Arena del Sole, scritto e diretto da Nicola Borghesi ed Enrico Baraldi, che hanno scelto di raccontare in teatro la sfida del soccorso in mare e delle sue evoluzioni negli anni. A comporre la narrazione ci sono decine di testimonianze di soccorritori e soccorritrici che hanno operato nel Mediterraneo, che diventano nella drammaturgia le tappe di una missione: dalle paure prima di partire, alle motivazioni che spingono a imbarcarsi, a ciò che accade quando ci si avvicina alla zona delle operazioni, al soccorso, fino poi al viaggio di ritorno. A place of safety è, nel lessico del mare, proprio il “porto sicuro” che viene assegnato dalle autorità alle ong che hanno concluso le operazioni nella zona SAR (Search and Rescue) nel Mediterraneo.

“Prima di arrivare in Italia non era mai stato a teatro”, spiega Alpha, che oggi è accolto a Casa Makeba, struttura del progetto SAI gestita da Officine Solidali Bologna e Antoniano Onlus. “Lo spettacolo è stato bellissimo. C’era tantissima gente”. Tra le persone che recitavano c’erano, oltre all’attore e regista Nicola Borghesi, un’infermiera, un elettricista, un soccorritore, una portavoce e un capo missione, che ad Alpha è piaciuto più di tutti. “Mi sembrava una persona con grande esperienza”, dice. Il punto di vista di tutto lo spettacolo è quello dei soccorritori, che vivono sui confini “protetti” del continente e decidono volontariamente di dedicare la vita alla lotta per la libertà di movimento altrui. Sul palcoscenico non c’è nessun migrante, “nella convinzione che quel punto della realtà è talmente complesso e difficile da guardare, che ci è sembrato più giusto raccontare queste storie attraverso lo sguardo di chi fa soccorso”, ha spiegato Borghesi in un’intervista. “Però alla fine io in quel teatro c’ero”, ride Alpha.

La scena che l’ha colpito di più è quella di una donna che viene salvata, ma che purtroppo non riesce a sopravvivere. “Anche io avevo un amico che è morto sulla nave”, dice Alpha guardando in basso. “Alla fine dello spettacolo ero un po’ triste, è stato difficile”, aggiunge. “Ma non mi sono pentito di essere andato. C’è stato un applauso lunghissimo, pensavo che non finisse più. Il mio applauso era proprio per loro, per le persone che lavorano sulle navi per salvare chi è nel mare”.

Vicino ad Alpha ad applaudire c’era anche Salvatore, 25 anni, volontario del Servizio civile presso Casa Makeba. “È stato uno spettacolo fortissimo, che ha saputo smascherare l’ipocrisia e il cinismo occidentale davanti alle tragedie che accadono ogni giorno nei nostri mari”. E aggiunge: “Il fatto di andarci insieme ad altri ragazzi che hanno vissuto quell’esperienza in prima persona è stato molto forte: la nostra presenza lì era importante solo per il fatto di esserci, era un’azione di resistenza”.

A vedere lo spettacolo c’era anche Wajed, 37 anni, anche lui accolto a casa Makeba, che per arrivare in Italia ha viaggiato dal Bangladesh fino alla Libia, e poi in nave fino a Lampedusa. “Lo spettacolo ha risvegliato i miei ricordi, anche io avevo fatto lo stesso tragitto”, spiega. “È stata dura, durissima. Non avevo capito che sul palco ci fossero degli operatori veri, che lavorano realmente sulle navi, sembravano degli attori veri. L’applauso finale è durato tanto perché c’è una connessione con la realtà, per ringraziarli”.

Wajed ricorda che, dopo il lungo viaggio per attraversare il Mediterraneo, era in condizioni molto critiche: “Quando sono arrivato a Lampedusa non camminavo, non parlavo, non mangiavo da un sacco, ero malato, e tante persone vicino a me erano ferite. Non c’era da festeggiare, ma c’era calma, perché eravamo vivi”. La parte dello spettacolo che l’ha colpito di più è stata proprio quella del soccorso: “Gli operatori si prendevano cura delle persone salvate, distribuivano acqua, cibo, medicine”. E conclude: “Quello è il momento più importante, il momento della salvezza”.

Foto: Luca Del Pia

Inizia a scrivere e premi Invio per cercare

X